Divinità norrene associate alla morte
Nel mondo nordico, la morte era intesa quale componente naturale dell’esistenza. Non si trattava quindi di qualcosa di cattivo, di antitetico alla vita, bensì di una componente della stessa.
In un mondo fortemente duale quale quello nordico, i contrasti facevano parte dell’ordine naturale del cosmo: bene e male, buio e luce, vita e morte. Queste ultime erano quindi intese come due facce della stessa medaglia.
In questo articolo analizziamo quattro divinità norrene connesse con la morte.
Hel
È la terza figlia di Loki e della gigantessa Angrboða. Il suo aspetto è per metà scuro, inoltre viene descritta come piuttosto severa e feroce.
Agli Dei venne profetizzato che i tre figli di Loki e Angrboða avrebbero portato gravi mali e sfortune. D’altronde erano la progenie del Dio dell’inganno e di una gigantessa, incarnazione delle forze del male e del caos. Così si decise che i tre sarebbero stati esiliati/imprigionati.
Nel caso di Hel, Odino la inviò nel più infimo dei nove mondi, il Niflheimr, e le diede potestà sui morti senza onore, per malattia o di vecchiaia. Alcune volte il regno dei morti venne chiamato Hel o Helheimr, dal nome della sua signora (si badi, sul punto, che nelle fonti non è sempre chiara la differenza tra Nifheimr e Helheimr, e a volte sembra che i due regni si confondano. Secondo Snorri, Hel/Helheimr è il luogo in cui vengono accolti coloro che muoiono per malattia o vecchiaia. Invece – e qui Snorri fu probabilmente influenzato da una visione cristiana dell’aldilà – Niflhel, da identificarsi forse con Nifheimr, è il luogo in cui finiscono i malvagi).
Il cane infernale Garmr custodisce le porte del regno dei morti.
Hel vive in una grande dimora circondata da un muro possente e con cancelli assai robusti. Il suo palazzo si chiama Éljúðnir (“Bagnato dalla pioggia“). Il nome della soglia è Fallanda forað (“Pericolosa per cadere“) e il letto Kör (“Letto di malattia“) e I suoi servitori si chiamano Ganglati e Ganglöt (rispettivamente “Pigro” e “Pigra nell’andare“). Hel mangia da un piatto di nome Hungr (“Fame“), usando un coltello che si chiama Sulltr (“Carestia“). Blíkjanda böl (“Barlumi di sventura“) sono chiamati i suoi ornamenti.
Rán
È una gigantessa, moglie del gigante-Dio del mare Ægir. Possiede una rete con la quale raccoglie i cadaveri di coloro che muoiono annegati.
Il mito racconta che alcuni uomini annegati apparvero ai loro funerali: si diceva che fosse un buon segno e che significasse che Rán li aveva ben accolti.
Attraverso la figura di questa Dea, vediamo il mare come una forza misteriosa e oscura, dimora dei defunti. Non c’è da stupirsi che un popolo (anche) di navigatori avesse questa concezione delle forze marine.
Odino
È il padre degli Asi- È il Dio della sapienza, dell’ispirazione poetica, della profezia, della guerra e della vittoria. Egli è il signore della vita e della morte: spesso le battaglie venivano consacrate in suo nome, e a lui spettavano metà dei guerrieri caduti.
Ogni giorno Odino invia le sue figlie, le Valchirie, sul campo di battaglia per proteggere gli eroi o per mostrare loro i segnali della morte imminente. Per i guerrieri la vittoria o la morte sono doni divini ugualmente desiderabili. Una morte eroica infatti conduce nella Valhalla, un luogo maestoso in cui i pilastri sono aste di lancia, mentre il tetto è composto da scudi, e le panche sono cosparse di corazze.
Sono le stesse Valchirie a scortare gli eroi caduti nella Valhalla e a servire loro birra e idromele.
Odino in persona, invece, siede insieme ai guerrieri nella Valhalla e prende parte ai loro banchetti, anche se il Dio non si nutre mai. Infatti a lui basta il vino, così cede il suo cibo ai suoi due lupi, Gerí e Freki.
I guerrieri caduti ospiti nella Valhalla formano un esercito infernale, a capo del quale si trova Odino.
Per questa sua connessione con i morti sul campo di battaglia, si dice che Odino abbia la funzione di psicopompo.
Ma Odino ha anche un rapporto personale con la morte. Secondo il mito infatti, il Dio sacrificò sé stesso a sé stesso, rimanendo appeso nove giorni e nove notti ai rami dell’albero del cosmo, Yggdrasill, con una lancia a trafiggergli il costato. Grazie a tale sacrificio, ottenne la conoscenza delle rune.
L’episodio ha una forte valenza simbolica, richiamando il rito della trafittura con una lancia e quello dell’impiccagione. Nelle tradizioni sciamaniche di ogni luogo, la morte rappresenta la fine del ciclo della vita e una condizione che precede il risveglio iniziatico.
Tanto è importante questa forma di sacrificio nel mito, che anche storicamente venivano sacrificati degli uomini a Odino, impiccandoli. L’impiccagione infatti rappresentava una sottomissione totale nell’anima e nel corpo, un completo abbandono al Dio.
Nei miti, spesso Odino si siede sotto i corpi penzolanti dalle forche e parla con gli impiccati (cfr Hávamál 157). A Odino come dio degli impiccati fanno riferimento numerose kenningar utilizzate nella poesia scaldica.
Oltre al menzionato episodio in cui Odino si appese ai rami di Yggradill, i miti attestano che Odino si reca periodicamente nel regno dei morti, ripetendo un itinerario iniziatico che gli dona potere e abilità.
Inoltre, sempre in tema di connessione del Dio con la morte, si ricorda che animali a lui sacri sono i lupi e i corvi, tradizionalmente noti per la loro abitudine di nutrirsi di cadaveri.
Freya
Fa parte della stirpe dei Vani, è sorella di Freyr, Dio dell’abbondanza e della fertilità, e figlia di Njörðr, Dio del Mare.
È la Dea norrena della bellezza, dell’amore, della passione, della fertilità, della magia e delle battaglie.
A lei spetta metà dei caduti sul campo di battaglia, e perciò se li spartisce con Odino.
La sua dimora si chiama Fólkvangr, termine che può essere tradotto con “campo di battaglia”.
Fonte: I Miti Nordici, Gianna Chiesta Isnardi
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