Intervista a Laura Costantini, autrice de Il Varcaporta
Oggi ho il piacere di ospitare per un’intervista Laura Costantini, autrice prolifica e di grande esperienza, oltre che persona fantastica. La sua produzione conta, tra le varie opere, lo steampunk Il Varcaporta e il suo prequel, L’Avvento, entrambi editi dalla Dark Abyss Edizioni. Dei due libri ho parlato qui e qui, la lettura è stata talmente coinvolgente che ho deciso di importunare Laura per chiederle qualcosa sui retroscena e sui riferimenti mitologici. Infatti Il Varcaporta e L’Avvento sono ambientati nella Londra vittoriana, ma al loro interno ci sono riferimenti a Stonehenge e ai miti celtici: pane per i miei denti.
Ciao Laura e benvenuta! Vuoi raccontarci la trama de Il Varcaporta in pillole?
Impresa non facile. In un 1897 alternativo, l’Inghilterra detiene un potere enorme grazie a una fonte di energia pulita e inesauribile, sgorgata dalla piana di Stonehenge. Tutto sembra andare meravigliosamente, ma c’è chi si accorge che fa sempre più freddo, che mendicanti, orfani e giovani uomini spariscono dalle strade senza fare ritorno e che non c’è niente di eroico nell’essere accolti nell’Accademia, dove vengono formate le coppie di piloti destinati alle Arpie, macchine volanti dai misteriosi e potentissimi motori.
L’Avvento è ambientato circa dieci anni prima. Di che parla, in breve?
Racconta ciò che viene solo intuito nel prologo de Il Varcaporta, ovvero il rito druidico celebrato durante il Solstizio d’estate del 1887, che ha aperto un varco a una Sostanza opalescente, destinata ad alimentare i motori di un’Inghilterra protesa verso un progresso tecnologico inimmaginabile. Ma i figli gemelli del Duca di Sarumhold, perito durante il rito, si trovano a pagare le conseguenze fisiche e spirituali dell’ossessione del padre. Aster e Astrea sono stati feriti, anche se in modo diverso. Aster ha subito una “contaminazione” che solo lui percepisce. Astrea è stata sfregiata e mutilata. A loro il mondo chiede di raccogliere l’eredità del Duca, ma Aster “sente” che la Sostanza è una minaccia e si allontana dalla sorella. Da quel momento – e per tutto Il Varcaporta – saranno nemici.
So che l’idea per Il Varcaporta ha avuto una genesi molto particolare. Onirica, se vogliamo. Ti va di raccontarcela?
Onirica, sì. Nel 1992 visitai Stonehenge e ne ricavai un’impressione così forte da generare, mesi dopo, un sogno molto vivido: l’alba del Solstizio, una processione di druidi incappucciati intenti a cantare la formula di un rito in una lingua sconosciuta, il sole che sorge e porta con sé un monolite dalla forma a cuneo che precipita sui druidi, li uccide e schianta il cerchio di pietre di Stonehenge. In pratica ho sognato l’Avvento. Da quel momento ha continuato a tormentarmi, istigandomi a scrivere una storia. La prima versione data proprio 1993/94. Poi l’ho abbandonata lì, per riprenderla durante il lockdown del 2020 e darle un nuovo, più ampio e drammatico respiro.
Il Kh-Ram, sostanza di tua invenzione, è il fulcro centrale della tua storia. Sono rimasta colpita dal significato e dai messaggi, reali e attuali, nascosti dietro questo elemento di fantasia. Vuoi raccontarceli?
Viviamo in un’epoca i cui problemi principali sono l’inquinamento, i cambiamenti climatici, la necessità di trovare fonti di energia alternative ai combustibili fossili, sostenibili e, possibilmente, inesauribili. Ora, non voglio si pensi che Il Varcaporta sia una sorta di pamphlet in salsa steampunk. Si tratta di una storia avventurosa, piena di fantasia. Ma il retroterra, i problemi che stiamo affrontando, non puoi non portarteli dietro. E allora ecco che, di fronte a una fonte d’energia inimmaginabile, potente, pulita e apparentemente gratuita, l’Inghilterra vittoriana si inginocchia e mette in campo quello che Dickens ha saputo raccontarci in modo inarrivabile: lo sfruttamento dei poveri, degli emarginati, dei più deboli. Il Kh-Ram (detto anche la Sostanza) ha fame e non è una metafora. In cambio del potere che offre, quelli che io ho denominato vittoriani strani sono disposti a pagare un prezzo atroce. Perché non li tocca direttamente, perché le vittime, a ben guardare, sarebbero comunque destinate a una vita breve e piena di stenti. La fortuna è che in ogni epoca, anche la più crudele, nascono sempre persone che non sono disposte a chiudere gli occhi, a fingere di non vedere. Ed ecco che Devereux Willoughby, orfano di strada reclutato dall’Accademia, Prescelto per un binomio di guida delle Arpie, si rende conto di ciò che sta accadendo. E accetta di assumersi il peso di una missione più che impossibile, suicida. Lo fa senza esitare, come tutti gli eroi che non avrebbero voluto esserlo. E il supporto che ottiene è quello di un amore imprevisto, come un fiore fuori stagione, destinato a essere bruciato dal gelo che la Sostanza sparge sul mondo. Eppure quel sentimento sarà la forza necessaria a fermare la corsa verso la catastrofe.
La genesi del Kh-Ram è strettamente legata ai miti celtici e, in particolare, alla figura di Taranus, il dio del tuono. Perché questa scelta?
Perché è il più steampunk tra gli dei della mitologia celtica. Taranus (o Taranis) è rappresentato con una ruota e un fulmine. Ovvero un ingranaggio e una fonte di energia. Senza contare che la ruota rimanda al perpetuarsi delle cose, al trascorrere del tempo. E il Kh-Ram (forzando i suoni ho immaginato che la radice T-R-N alla base del nome del dio – parente anche del norreno Thor – potesse dar vita a K-R-M, ovvero alla “mia” Sostanza) è padrone del tempo, riesce a rallentarlo, a manipolarlo. Mi piaceva l’idea che i druidi seguaci del Duca di Sarumhold, sopravvissuti al rito, perseguissero il ritorno a una religione ancestrale, britannica, autoctona, ingiustamente spodestata, dal loro punto di vista, da quella cristiana.
Qual è la parte che hai preferito scrivere? Ce n’è stata una che ti ha dato più filo da torcere?
Ho amato ogni singola riga. E le ho odiate tutte. Perché il world-building è stato difficile. Integrare un’epoca storica fedelmente ricostruita con elementi fantasy e fantascientifici – come i varchi dimensionali – non è stata una passeggiata. Poi intorno alle vicende di Devereux, del suo binomio Zachary e di Aster, l’erede al titolo dei Sarumhold che ha voltato le spalle alle scelte della gemella Astrea, c’è una vera folla di personaggi che non sarebbe giusto definire minori. Hanno tutti una storia e ruoli ben precisi, incastri degni del più complicato degli ingranaggi. Spesso, durante la stesura, mi sono chiesta chi me lo facesse fare.
Quali sono i tuoi prossimi progetti di scrittura?
Ho sempre una lunga teoria di storie che mi sussurrano nell’orecchio. Entro l’anno dovrebbe uscire un nuovo romanzo vittoriano con forti componenti gotiche, intanto sto lavorando con la mia socia di scrittura per la revisione di un giallo ambientato a Torino nel 1900.
E in ultimo, prima di salutarci. A chi consiglieresti Il Varcaporta?
A chi ama sorprendersi, a chi vuole personaggi – anche “cattivi” – per i quali sia facile parteggiare, a chi si bea delle atmosfere vittoriane e a chi pensa che il confine tra fantasy e fantascienza non sia poi così netto. E che un braccio meccanico in lamina d’oro possa impugnare un fucile dalle canne di cristallo, caricato con capsule biologiche, che lancia letali scariche d’energia.
Puoi trovare Il Varcaporta e L’Avvento su Amazon, o sul sito della Dark Abyss Edizioni.
Qui trovi la mia recensione al Varcaporta.
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