Intervista a Laura Costantini, autrice de La pietra delle anime
Oggi ho il piacere di ospitare Laura Costantini, autrice e persona straordinaria che ho già avuto occasione di intervistare qui.
Laura ha all’attivo oltre venti opere, pubblicate sia in self che con diversi editori, compresa la Dark Abyss Edizioni. Di recente è uscito il suo ultimo romanzo, “La pietra delle anime”, un dark fantasy che mescola guerra, magia oscura e folklore nativo americano.
Ciao Laura e bentornata sul mio blog!
Vuoi raccontarci la trama de “La pietra delle anime” in pillole?
Ciao Lisa e grazie per questo nuovo incontro. La storia prende il via dalla morte di un sergente nativo americano, Zed Smith, tra le trincee della Prima guerra mondiale. Prima di spirare, affida al soldato Bridger Colton il compito di restituire alla sua gente l’amuleto che gli pende dal collo. Bridger è giovanissimo, solo e innamorato di un amore che non ha mai potuto e voluto esprimere. La missione che il sergente Smith gli ha affidato – e la promessa che potranno ritrovarsi – diventano per lui lo scopo che può dar senso alla vita intera. Per questo affronta il rientro in America e la lunga strada fino alla baia di Quinte sul lago Ontario, per tener fede alla promessa. A rivelarglisi, però, sarà una misteriosa tribù e un destino cui nessuno – neanche Piuma Nera, la guida cui viene affidato – potrà prepararlo.
La cultura dei nativi americani è estremamente affascinante. Quanto è importante questa componente nel tuo romanzo?
Non è la prima volta che mi confronto con le tradizioni e la civiltà delle nazioni native americane. Nel 2012, insieme alla mia socia di scrittura Loredana Falcone, pubblicammo “Il destino attende a Canyon Apache”, un romanzo storico-western che ruotava intorno alla lotta per la sopravvivenza degli Apache del New Mexico subito dopo la guerra di Secessione. Mi è piaciuto tornare ad affrontare uno stile di vita e un modo di pensare che a noi appare lontano e difficile da comprendere. In questo caso ho preso spunto dalla cultura della nazione algonchina, nello specifico del popolo Ojibway che vive sul lago Ontario. E ne ho fatto il fulcro del romanzo perché a loro ho affidato il compito di custodire il mistero della Pietra delle Anime. È stato anche importante affrontare la diversa concezione di ciò che è “normale” nella sessualità umana. Nel 1920 l’omosessualità di Bridger Colton era una vergogna e una colpa, tra la sua gente. Ma il suo essere considerato un “due spiriti” da parte di Piuma Nera apre le porte a comprensione e rispetto che ancora oggi stentano a essere riconosciuti alle persone LGBTQ+.
Come mi hai raccontato nella nostra ultima intervista, spesso l’ispirazione ti arriva per via onirica. È successo anche con “La pietra delle anime”?
Stavolta non è stato un sogno. Colleziono calamite che dispongo sullo sportello del frigorifero. La resistenza che il magnetismo determina quando si cerca di staccare una calamita mi ha portato alla mente un’immagine: un laccio di cuoio con appeso un sacchetto di pelle, una mano che cerca di allontanarlo dal torace di chi lo indossa, una misteriosa resistenza che si oppone a quel gesto. Lo stesso gesto che si trova nel drammatico prologo del romanzo. Poi è venuto tutto il resto.
Sei un’autrice con la non comune capacità di spaziare tra generi diversi: hai scritto dark fantasy, steampunk, gialli, saggi. Come ci riesci?
Credo che la colpa sia della curiosità, della continua ricerca di spunti, di notizie, di informazioni. Ho una formazione umanistica e storica, ma mi appassionano le scienze, anche quelle per le quali non ho proprio le basi. Scrivere è un modo per documentarmi, per studiare, per scoprire. Non cerco di rendere le mie ricerche più veloci, non coltivo la fretta della realizzazione. Mi prendo il mio tempo e proteggo – con ferocia che qualcuno scambia per “rifiuto del progresso” – il vagare di volume in volume, di link in link senza chiedere ai motori di ricerca, né alle AI, il piatto già bello che servito. Scelgo con cura gli ingredienti e provvedo personalmente a “cucinarli”. Il problema, se un problema esiste, è che le mie storie non sono mai totalmente aderenti a un genere catalogato. “La pietra delle anime” è avventura, è thriller, è horror (parecchio horror), è fantasy ed è fantascienza, anche.
C’è un filo conduttore tra le tue opere? Vuoi parlarcene?
Rispetto. Il filo conduttore è sempre il rispetto. So di alienarmi possibili lettori nel dichiararlo perché vedo molti (e molte) aderire alla convinzione che il fantasy debba tenersi alla larga da tematiche cosiddette “woke” (in parole semplici: consapevolezza di fronte a problemi sociali come il razzismo e la disuguaglianza). Non sono d’accordo: si può scrivere il più crudele e spaventevole dei testi, si può dare anima al peggiore dei villain, ci si può crogiolare nello splatter o inseguire le suggestioni del più lercio dei grimdark, senza per questo farsi portavoce di pregiudizi e stereotipi. Non accetterò mai abusi romanticizzati, non scriverò mai scene di morboso compiacimento nei confronti di violenze perpetrate ai danni di donne o di persone LGBTQ+, non mi farò propugnatrice di un linguaggio offensivo nei confronti dei personaggi portatori di diversità o appartenenza a generi discriminati. Rispetto. Tutto qui.
Quali sono i tuoi prossimi progetti di scrittura?
Insieme alla socia sto scrivendo un romanzo breve decisamente horror, da sola sto lavorando a un retelling con la pretesa che possa distinguersi per originalità.
E in ultimo, prima di salutarci. A chi consiglieresti “La pietra delle anime”?
A chi non teme di affrontare una storia che all’azione, al mistero, all’oscurità più fitta unisce personaggi pieni di umanità, con tutti i dubbi, i difetti e i sentimenti in grado di farli uscire dalle pagine.
Grazie per questa chiacchierata!
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